Il trapianto capelli è consigliabile alle donne?

La calvizie è certamente un problema statisticamente più maschile perché nel mondo maschile dopo una certa età, è la maggioranza dei soggetti a soffrire del problema in varia misura. Per la donna la cura capelli riveste una questione certamente più delicata perché una donna con i capelli diradati può subire uno stato di frustrazione psicologica tale da ridurre al minimo la qualità della vita. Il diradamento capelli femminile non è solo un inestetismo, ma è anche una “tragedia” per la propria immagine e autostima.

In passato una donna con problemi di calvizie, era in qualche maniera condannata all’uso di parrucche o a nascondere il cuoio capelluto. Le tecniche di chirurgia dei capelli allora erano grezze ed i risultati non adeguati alle aspettative delle candidate pazienti. Grazie allo sviluppo della tecnica e alla miniaturizzazione della procedura oggi l’ autotrapianto FUE  – questo il nome della chirurgia moderna – permette alle donne di correggere piccoli e grandi diradamenti, senza lasciare cicatrici e con risultati davvero apprezzabili. I capelli trapiantati, dopo un breve periodo di stasi, ricrescono naturalmente e non cadranno più per tutta la vita della paziente.

Che caratteristiche ha il trapianto capelli femminile moderno?

Le moderne tecniche di trapianto capelli espiantano i follicoli singolarmente senza quindi incidere il cuoio capelluto con il bisturi. L’espianto avviene dalla zona donatrice dove necessariamente si dovrà radere i capelli. Essendo che gli stessi nei pazienti di sesso femminili sono lunghi, la zona rasata di solito è coperta. La zona interessata all’impianto di solito nelle donne non viene rasata perché bisogna successivamente attendere i mesi per la ricrescita e ciò comporta importante disagio per la paziente. Si procede quindi all’impianto dei follicoli trapiantati tra i capelli esistenti. Questo rende la procedura più complessa e lenta. Qualora la paziente decidesse di radersi, la quantità e la densità follicolare sarà certamente molto maggiore e dopo qualche mese anche il risultato sarà più efficace.

Mediamente dopo 3 mesi i capelli trapiantati iniziano a ricrescere. Dopo sei mesi molti capelli “nuovi” avranno una lunghezza di oltre 3 centimetri e comunque cresceranno al ritmo di 1 centimetro al mese.

Quanti capelli si possono trapiantare?

Le moderne tecniche operatorie riescono ad espiantare ed impiantare in una unica sessione oltre 3000 unità follicolari. Se la donna acconsente ad essere rasata nella zona ricevente, le unità follicolari trapiantabili possono raggiungere anche 5000 elementi. Ciò consente di completamente trasformare l’estetica di una donna con problemi di calvizie in una con capigliatura normale e sicura di sé!

Ciliegie: Sono buone e fanno bene

Una ricerca condotta negli Stati Uniti ha rivelato che il consumo di ciliegie favorisce la riduzione del livello di colesterolo nel sangue.

A darne da notizia è stata la Coldiretti attraverso le pagine del suo sito, riferendo i risultati di uno studio condotto su topi di laboratorio da Mitchell Seymour, ricercatore sulle cardiopatie dell’Università del Michigan (USA) e reso pubblico lo scorso maggio. Gli animali alimentati con l’aggiunta di polvere di ciliegie acide sono risultati avere un più basso livello di colesterolo nel sangue, meno trigliceridi, un minor accumulo di grasso nel fegato e minore stress ossidativo, rispetto a quelli che seguivano una dieta normale. Secondo i ricercatori gli effetti positivi sulla salute dovuti al consumo di ciliegie sono dovuti – riferisce la Coldiretti – ad un più elevato accumulo di sostanze a effetto antiossidante come gli antociani che sono contenuti nelle ciliegie e alle quali conferiscono il classico coloro rosso scuro. Anche se occorreranno ulteriori verifiche, i risultati ottenuti – precisa la Coldiretti – possono essere ritenuti incoraggianti anche per la salute umana, soprattutto nei paesi più sviluppati dove F eccesso di colesterolo è il maggiore responsabile di malattie cardiovascolari anche nelle nuove generazioni, con ben centomila bambini italiani, il 20 per cento del totale, che soffrono di ipercolesterolemia.

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Cos’è l’ artrite?

L’artrite è una delle malattie più debilitanti e costose per il grave impatto sulla qualità di vita di chi ne è colpito. È una malattia cronica che non guarisce mai completamente nemmeno con cure mediche ottimali, per questo nel tempo sono comparsi un’infinità di rimedi popolari o alternativi, taluni propagandati addirittura come miracolosi, di efficacia non provata e molto costosi.

Cosa s’intende per «artrite»?

Artrite è un termine generico che definisce qualunque malattia delle articolazioni. In Italia circa 10 milioni di persone soffrono di dolori acuti o cronici a causa di una delle varie forme di artrite oggi conosciute. Le cartilagini, i tendini e i muscoli con l’uso si usurano e devono venire continuamente riparati, solitamente durante il sonno, se sono disponibili ossigeno e nutrienti. Quando la circolazione del sangue è scarsa, i tendini si indeboliscono, il liquido articolare si riduce e la cartilagine si consuma.

Qual è la forma più comune di artrite?

La forma più diffusa è l’osteoartrite, che affligge la popolazione anziana colpendo 8 persone su 10 sopra i 75 anni. Può però presentarsi a qualunque età in seguito a traumi, infiammazioni, attività lavorative o sforzi eccessivi.

Solitamente insorge se l’apporto di sangue all’articolazione non è più sufficiente a consentirne il corretto funzionamento, proprio come la funzionalità del cuore diventa insufficiente quando le arterie coronarie sono ostruite dalla placca. Nella maggior parte dei casi, quindi, risponde bene a misure che migliorino la circolazione, come la riduzione dei grassi nel sangue, l’esercizio fisico e la fisioterapia.

Come fa un’articolazione a urlare che non sta ricevendo abbastanza sangue? Di solito incomincia a far male.

La risposta strabiliante al dolore dell’artrite: l’esercizio fisico. Quando la cartilagine (struttura-cuscinetto tra le ossa) non riceve abbastanza sangue deve prendere le sostanze nutritive all’interno dell’articolazione, fatto possibile solo se l’articolazione viene usata. L’osteoartrite delle articolazioni sottoposte a carico (come colonna, anche e ginocchia) è peggiorata dall’eccesso di peso corporeo (sovrappeso). C’è infatti un limite al carico, analogamente a quanto succede per i ponti. I sintomi più comuni dell’osteoartrite sono dolore e rigidità, che si alleviano riscaldando le articolazioni con il movimento.

Abbronzatura sana

Rilassarsi al sole è senza dubbio piacevole, ma va fatto sempre con le dovute precauzioni.

COME ESPORSI AL SOLE

  • L’esposizione deve essere graduale, soprattutto i primi giorni. La prima vera abbronzatura si sviluppa dopo 72 ore, tempo necessario alla pelle per produrre la melanina. Prima avviene l’ossidazione delle cellule di superficie.
  • Indossare sempre un berretto con visiera utile a proteggere gli occhi, perlomeno, un paio di occhiali da sole.
  • Evitare di prendere il sole nelle ore centrali della giornata (dalle 11 alle 16 circa).
  • Applicate la crema protettiva ogni due ore. La pelle tende ad avere una desquamazione invisibile che nell’arco di quattro ore le fa perdere qualsiasi cosa le abbiamo applicato.
  • Attenzione al riflesso della neve o della sabbia ed alle nuvole: l’eritema solare è sempre in agguato!
  • Non utilizzare i solari dell’anno precedente nel caso in cui non siano stati conservati bene o se non si è certi della data di acquisto. Evitare di esporre il prodotto solare ed elevate temperature.
  • Se la sera si è arrossati il giorno dopo ci si deve schermare per bene in modo tale da dare alla pelle il tempo necessario per ristabilirsi.

Parola d’ordine: fotoprotezione.

Per essere certi di non trasformare l’abbronzatura in una causa di problemi dermatologici di carattere più o meno serio, bisogna attuare una protezione a tutto campo e “differenziata”. Il viso, zona del corpo molto sensibile, richiede una doppia protezione -anti Uva e anti Uvb – per prevenire le scottature e contrastare l’invecchiamento. Per occhi e labbra è necessaria invece una formula ultraprotettiva, delicata e dalla formulazione anti-age. Di ultima generazione gli stick, comodi da portare sempre con sé perché poco ingombranti e facili da applicare. Da non trascurare anche il tipo di pelle: se è grassa, ad esempio, l’ideale è una texture che non occluda i pori, intensificando l’aspetto lucido. Via libera, quindi, a gel ed emulsioni leggerissime. E per il corpo? Rapido da applicare e ultra efficace è un prodotto in versione spray, che assicura una lunga tenuta ed una costante idratazione. Per chi, infine, ama bagnarsi fre-quentemente, sono d’obbligo le formule “waterproof” con fattore di protezione medioalto e sostanze in grado di proteggere la pelle da salsedine e vento. Un’ultima raccomandazione per le discromie cutanee, i nei e le cicatrici: vanno protette con prodotti su misura altamente schermanti.

FOTOTIPI: COSA SONO

Determinata da fattori razziali e genetici, la pigmentazione cutanea e il colore di capelli ed occhi consentono il raggruppamento secondo sei diverse tipologie, i fototipi. Nei singoli fototipi si ha una diversa produzione di melanina e, quindi, una diversa reazione all’esposizione. Fototipo I: persone con i capelli biondi o rossi, pelle lattea, lentiggini. La loro pelle si scotta facilmente ed è perciò indispensabile un’altissima protezione (almeno 20). Fototipo II: persone con occhi e capelli chiarì, pelle chiara, a volte cosparsa di lentiggini. Si abbronzano con difficoltà e sono soggette ad eritemi solari. È consigliato un fattore di protezione alto (20). Fototipo III: persone con carnagione chiara, capelli castani o biondi. Si abbronzano uniformemente, ma hanno bisogno di un fattore alto (fino al 15) nei primi giorni, medio (6-4) nei giorni successivi. Fototipi IV-V: persone con capelli scuri, neri o castani, pelle olivastra. Si abbronzano facilmente e può bastare un fattore di protezione medio-bassa (da 6 a 4). Fototipo VI: persone con capelli neri e pigmentazione già scura. 11 fattore di protezione utilizzabile è già basso dai primi giorni.

COSA CONTENGONO?

Spesso leggendo sulle confezioni dei prodotti solari troviamo termini di cui sarebbe opportuno conoscere il significato. Ecco un breve dizionario. Acido para/aminobenzoico (PA-BA): sostanza diffusamente impiegata nei filtri solari, leggermente irritante per alcuni tipi di pelle.

Anti-ossidante: contrasta i radicali liberi (es. vitamine C ed E) Filtri solari fisici: riflettono la luce dei raggi UV dalla pelle, allontanandola (es. di filtri solari fisici: il diossido di titanio e l’ossido di zinco). Filtri solari chimici: assorbono la luce UV (es. di filtri solari chimici: l’ossibenzone e l’avonbenzone). SPF (Sun Protection Factor): il fattore protettivo dei solari. Sunblock: protezione totale (da SPF 30). L’SPF 30 blocca il 98% dei raggi UV, l’SPF 15 circa il 94%. Non esiste un filtro in grado di bloccare i raggi al 100 per cento.

E DOPO?

Dopo un “bagno” di sole è importante continuare a curare la pelle con prodotti specifici in quanto la reazione immediata all’esposizione è una pelle arrossata e vasodilatata. Una volta tornati a casa, quindi, dopo essersi farti una bella doccia, è necessario applicare emulsioni lenitivi ed emollienti (i cosiddetti “doposo-le”). Poi, nell’arco dei giorni successivi, si verifica quasi sempre una blanda desquamazione della pelle: in tal caso bisogna privilegiare quei prodotti che favoriscono l’espulsione delle cellule morte e, nel contempo, reidratare molto la pelle che tende a

disidratarsi non solo per effetto del sole ma anche per effetto del vento e dell’esposizione stessa all’aria. Anche la detersione però, rappresenta un momento importante: è indispensabile non usare prodotti sgrassanti ed aggressivi che in qualche modo potrebbero peggiorare la situazione, privilegiare gli oli ed evitare l’uso di detergenti schiumogeni.

OCCHI E SOLE

Gli occhiali sono molto di più di un semplice accessorio. Assolvono funzioni di ben altro rilievo, al punto che l’Unione Europea li ha classificati come “dispositivo di protezione individuale” , da indossare per difendersi dalle radiazioni solari. La direttiva 89/686/CEE n. 475 del 1992 definisce le prescrizioni di progettazione e di fabbricazione necessarie per garantire che gli occhiali siano sicuri. In particolare prevede che gli occhiali da sole, acquistati presso rivenditori conosciuti e di fiducia, devono essere accompagnati da marcatura CE, che deve essere apposta sugli occhiali in modo visibile, leggibile e indelebile e Nota Informativa, che, oltre al nome e all’indirizzo, deve contenere altre specifiche informazioni (la categoria del filtro solare, il tipo di filtro solare, la classe ottica, le istruzioni di impiego, pulizia e manu-tenzione). Relativamente alle categorie di filtro solare, si dividono in Categoria 0-1 (filtro trasparente, molto chiaro o chiaro): per locali chiusi e giornate poco illuminate; Categoria 2 (filtro medio): per illuminazioni medie e giornate nuvolose; Categoria 3 (filtro scuro): per uso generale in pieno sole; Categoria 4 (filtro molto scuro): per forti illuminazioni, alta montagna, spiaggia e, pertanto, non idoneo alla guida. Oltre che di tipo “normale”, i filtri solari possono essere: fotocromatici (scurendosi al sole, si adattano a condizioni metereologi-che e di luminosità variabili), polarizzanti (filtrano anche i riflessi e, oltre a proteggere gli occhi, migliorano la visibilità) e degradanti (grazie al loro disegno sono adatti alla guida, in quanto attenuano la luce solare e consentono una ottimale visione della strada). La forma e le dimensioni delle lenti sono due parametri importanti: troppo piccole o troppo avvolgenti sono sconsigliate in quanto permettono a una gran quantità di luce di raggiungere l’occhio e quindi di danneggiarlo. Ugualmente dicasi per il colore da scegliere a seconda della situazione e del tipo di difetto visivo. In particolare: il giallo è consigliato quando si è in montagna in quanto accentua i contrasti; il blu è consigliato a chi ha difficoltà nel vedere da vicino; il rosa, con effetto riposante, è adatto a lenti graduate; il grigio, riposante, non altera i colori; il marrone protegge dai raggi nocivi, è consigliato in caso di miopia.

I colori del massaggio

Se una vostra cliente dovesse chiedervi in che modo i colori influenzano l’umore, nessuna paura: la spiegazione è semplice. A seconda della diversa lunghezza d’onda, le loro vibrazioni penetrano nell’organismo a varie profondità producendo variazioni biochimiche cellulari e stimolando processi di riequilibrio. L’esempio più importante viene dalla luce solare che contiene in sé l’intero spettro di colori e, come è stato scientificamente dimostrato, può interferire con i campi elettromagnetici del corpo umano, influenzando il comportamento e gli stati d’animo. Partendo da questo principio, è ormai certo che in campo estetico il benessere può essere favorito attraverso l’applicazione di luci colorate (cromoterapia], o anche dalle tonalità di tinta utilizzate nelle cabine, nell’arredamento e negli ambienti dell’Istituto (pareti, tende, lampade, ecc). La loro scelta, quindi, deve essere attentamente ponderata, tenendo presenti gli effetti sull’umore, ma anche in funzione di una eventuale specializzazione che si voglia dare ai diversi spazi. In relazione al loro effetto psicofisiologico, infatti, i colori si distinguono in caldi (rosso, arancione e giallo) e freddi (azzurro, indaco e violetto]. Il verde, invece, è al centro dello spettro luminoso e rappresenta il punto di equilibrio, quasi neutro. I colori caldi hanno un effetto eccitante, aumentando l’attività muscolare, la pressione del sangue, la frequenza del respiro e il battito cardiaco; stimolano inoltre l’azione e la comunicazione. Il rosso, in particolare, è altamente energetico e antidepressivo. Il giallo è euforizzante e mette di buon umore. L’arancione favorisce entusiasmo e allegria, contrastando angoscia e tristezza. Al contrario i colori freddi hanno un effetto distensivo e rilassante, abbassando i valori della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e respiratoria; facilitano il raccoglimento, la meditazione e il sonno. Tra questi, il blu- azzurro è il colore della calma e della serenità, stimola un rilassamento profondo ed è utile in caso di insonnia, stress, nervosismo. Anche l’indaco, energia fredda, è fortemente rilassante, mentre il viola è il colore dell’intuizione, diminuisce l’irritazione e l’eccitabilità nervosa. Infine, il verde è riequilibrante e armonizzante, pacifica i sensi e favorisce pensieri armonici e la riflessione. Un buon equilibrio cromatico dona una sensazione gradevole, mentre colori accostati in modo contrastante determinano un senso di fastidio. Nel luogo dedicato al massaggio, allora, per creare un’atmosfera rilassante vanno privilegiati il blu in tutte le sue tonalità, il verde chiaro, il violetto e i colori pastello. Tra questi il rosa che agisce in maniera spiccata sul sistema nervoso, alleviando tensioni e negatività, rivitalizzando delicatamente e stimolando l’ottimismo. Che dire del bianco? Che da solo infonde un senso di pulizia e purezza, favorendo la tranquillità ma può essere anche destabilizzante e generare insicurezza. Meglio quindi se abbinato ad altri colori. Due parole sull’illuminazione: mai violenta ma soffusa e il più vicina possibile alla luce naturale. Evitate le luci al neon, meglio le lampade alogene o diffusori blu o azzurri che producono una luce rilassante. Dopodiché, basterà una musica lenta e dolce in sottofondo e… buon massaggio!

La pasta nella dieta

La pasta non dovrebbe mai mancare in una dieta equilibrata. Questa affermazione può far gridare allo scandalo, eppure è vera: la pasta è infatti una preziosa fonte di energia, essendo composta come il pane da carboidrati, cioè la fonte energetica primaria dell’organismo. Inoltre è quasi completamente priva di grassi, presenti in meno dell’uno per cento. Rispetto al pane, la pasta fornisce più calorie (340 contro 270 per cento grammi); inoltre il suo potere calorico può aumentare anche più del doppio a seconda del condimento. Cento grammi di pasta condita con sughi grassi, come pasta al forno, ripiena, con ragù, all’amatriciana, possono fornire anche 800 calorie, cioè circa un terzo della quantità calorica quotidiana indicata per un adulto.

Non è detto, però, che sia necessario rinunciare a questo alimento tanto gustoso: è sufficiente adottare qualche accorgimento.

Basta trasformare, in accordo ai principi della dieta mediterranea, questo alimento in un piatto unico che costituisca il cardine del pasto. Seguito solamente da insalata e frutta coprirà perfettamente, senza fare ingrassare, il fabbisogno giornaliero di sostanze nutritive.

Il piatto unico può essere composto da pasta con carne, o verdure, o fagioli, o ceci, o più semplicemente con pomodoro fresco, olio crudo ed erbette. Un altro piatto unico economico e nutriente è rappresentato dalle frittate di pasta (di cui tuttavia non si dovrebbe abusare), aggiungendo un uovo ogni cento grammi di pasta e cucinandola in poco olio d’oliva. Ma uno degli aspetti più importanti di questo alimento è rappresentato dalla cottura, dalla quale dipende anche la sua digeribilità. I meridionali, che, è noto, hanno “inventato” la pasta, sono soliti cuocerla al dente, cioè piuttosto dura. Questa abitudine ha un preciso riscontro biologico: meno è cotta, infatti, e più la pasta risulta digeribile, poiché il processo di trasformazione e assimilazione dei carboidrati (che si svolge nella bocca e nello stomaco) avviene più facilmente e impegna di meno l’apparato digerente.

Una cottura ideale della pasta deve essere compiuta in una pentola molto grande, in grado di contenere almeno un litro e mezzo d’acqua per cento grammi di pasta. L’acqua deve essere salata dopo aver “buttato” la pasta e la scolatura deve essere completa e abbastanza anticipata, poiché la pasta continua a cuocere anche dopo.

Merita un accenno, infine, la pasta integrale. Per essa vale il discorso del pane: ha un’alta percentuale di fibre, che riducono di conseguenza la quantità di carboidrati e migliorano la funzionalità dell’intestino. Tuttavia, è sempre meglio alternarla con la pasta comune, visto tral’altro che fornisce solo dieci calorie in meno di questa. Un discorso a parte meritano le paste cosiddette “dimagranti” da poco entrate nel mercato italiano.

Paste che facciano dimagrire non possono esistere; possono esservi tipi di pasta più o meno calorici, ma è sempre meglio accertarsene leggendo attentamente i dati riportati sulla confezione, e ricordando che un etto di pasta comune fornisce circa 340 calorie.

Igiene dei denti

Igiene dei denti e della cavità orale

Avere una bella dentatura non è molto difficile, se si seguono alcune indicazioni fondamentali, prima fra tutte una visita accurata dal dentista. Sin dall’infanzia, infatti, è possibile correggere alcuni difetti, in modo da creare un armonico rapporto tra gli elementi dentari, chiedendo l’intervento di un buon dentista ed effettuando controlli periodici nel corso degli anni.

In tal modo, si individuano per tempo quelli che sono i principali nemici di una dentatura sana: carie, placca, formazione di tartaro, infiammazione gengivale. Nella maggior parte dei casi tali affezioni dei denti sono causate proprio dalla trascuratezza e da una errata igiene orale. La carie è una sorta di cavità che si produce all’interno del dente, causata da un acido che lentamente corrode lo smalto.

Una delle principali responsabili delle malattie dentarie sembra sia la placca, quella patina, una pellicola quasi invisibile, che si deposita sulla superficie dei denti e poi si popola di colonie di batteri. Questi utilizzano lo zucchero contenuto nei cibi e nelle bevande per trasformarlo in acidi, i quali, lasciati agire indisturbati, attaccano pericolosamente lo smalto distruggendolo progressivamente.

Anche l’infiammazione gengivale è provocata dall’intervento della placca, la quale modifica il colore delle gengive da rosa pallido in rosso, finché esse cominciano a sanguinare, se stimolate dallo spazzolino o dal filo interdentale, si gonfiano, perdono il loro disegno a festoni tra dente e dente, fino a staccarsi lasciando una sorta di tasca, un vuoto. Mediante l’intervento dello specialista è naturalmente possibile rendere reversibile questo processo; in caso contrario, se trascurata, l’infiammazione degenera in parodontite, determinando la perdita dei denti (piorrea).

La placca e il tartaro, che ne rappresenta il prodotto calcificato, possono essere periodicamente rimossi, ad intervalli di circa sei mesi, dal dentista e, quotidianamente, mediante un’accurata pulizia. A tale scopo, una particolare importanza acquista la scelta dello spazzolino, che deve essere preferibilmente di setole artificiali perché non forniscono ai batteri un habitat favorevole, a testa corta e senza troppe curvature per raggiungere ogni parte dei denti, con le setole standardizzate, ossia della stessa altezza, e con le punte arrotondate per non irritare la base gengivale.

Una corretta igiene deve essere coadiuvata dall’uso di altri accessori indispensabili, come il filo e lo spazzolino interdentale, lo stuzzicadenti dentale, nonché da un’alimentazione controllata, dalla quale sia bandito il consumo di cioccolatini e caramelle, soprattutto prima di recarsi a letto.

Poca importanza si attribuisce, invece, alla scelta del dentifricio, che serve per lo più a rendere completa la pulizia. Gli unici prodotti che possono esercitare una qualche efficacia medicamentosa sono i dentifrici al fluoro. In relazione a questa fondamentale componente dello smalto dei denti, va ricordato che alcuni specialisti consigliano di somministrare pasticche di fluoro ai bambini in tenerissima età.

Sin dall’infanzia, poi, è molto importante imparare il corretto uso dello spazzolino, per impartire ad esso i movimenti in grado di rimuovere la placca dalle gengive e di esercitare un benefico massaggio.

Alimentazione e sport: Coppia della salute

In palestra o all’aria aperta, qualche giorno a settimana o solo durante i week-end è sempre più frequente vedere ragazzi e adulti che praticano dello sport o più semplicemente dell’esercizio fisico prolungato. Molto spesso, tuttavia, l’alimentazione quotidiana non viene modificata in presenza di questa ulteriore attività dell’organismo; ci si limita a mangiare più zuccheri e consumare, più bevande gassate.

Invece, basta qualche leggera modifica nella composizione dei pasti per consentire all’organismo di muoversi al meglio delle sue possibilità e senza affaticarsi. I consigli che diamo qui di seguito si riferiscono, naturalmente, all’attività sportiva a livello amatoriale e dilettantistico, non certamente a quella agonistica.

Questo discorso vale soprattutto per i cosiddetti “integratori dietetici”, bevande a base di vitamine e sali minerali, nate solo per gli sportivi professionisti e di cui oggi invece si fa una gran pubblicità e un uso esagerato. Esse, infatti, non dovrebbero mai essere consumate senza il controllo del medico, poiché rischiano di fornire una dose eccessiva di sostanze nutritive non compensata dalla reale richiesta dell’organismo (oltre a rappresentare una spesa tutt’altro che indifferente).

Innanzi tutto, non bisogna commettere l’errore di mangiare abbondantemente prima o dopo l’attività sportiva; in primo luogo, perché si affatica inutilmente l’organismo in un superlavoro di digestione; secondariamente, perché l’organismo non è pronto a ricevere cibo in grande quantità. L’ideale per chi deve fare sport subito dopo pranzo (come ad esempio i ragazzi che vanno in palestra o in piscina di primo pomeriggio) è evitare alimenti che sovraccarichino gli organi della digestione (come molta pasta, verdure crude, molta carne) e preferire, invece, una mezza porzione di riso, seguito da un panino con hamburger (oppure un uovo alla coque o ancor meglio un piatto di funghi), con verdura cotta e una spremuta di frutta.

Tornati a casa sarà sufficiente una merenda sostanziosa (senza esagerare) con latte, una fetta di crostata o un panino imbottito al formaggio. Un discorso a parte meritano le bevande. La migliore è la semplice acqua, che viene perduta in gran quantità durante lo sport. Una buona abitudine è di berne non solo dopo, ma anche prima, non fredda e a piccoli sorsi. Altre sostanze che vengono perdute nell’esercizio fisico sono il sodio e il potassio, che si compensano mangiando frutta fresca o secca e aggiungendo un pizzico di sale in più negli alimenti. Da evitare assolutamente, invece, le bevande ghiacciate.

Qualche consiglio a parte merita l’alimentazione di chi pratica sport invernali, come lo sci. La giornata deve cominciare con una prima colazione abbondante, avendo l’accortezza di bere una tazzina di caffè ben zuccherato al termine della colazione. È preferibile non diluire il caffè nel latte, perché in questo modo si otterrà il massimo vantaggio energetico.

Durante la mattinata si può prendere un tè caldo e zuccherato o una spremuta di frutta, oppure una tavoletta di cioccolato. Invece, non sono consigliabili i superalcolici, che offrono solo un momentaneo senso di calore ma rallentano i riflessi. La cena, che in montagna costituisce il pasto principale della giornata, dovrebbe essere consumata in orari “montanari”, cioé piuttosto presto, per consentire un buon riposo notturno e una buona dose di appetito la mattina seguente, in modo da consumare un’abbondante prima colazione.

Il pane nella dieta

Pochi alimenti come il pane sono circondati da tanti pregiudizi. Il pane viene considerato il cibo che ingrassa di più e nelle diete dimagranti “prescritte da sé”, senza il consiglio del medico, è il primo alimento ad essere eliminato. O, peggio ancora, viene sostituito con cracker e grissini che a torto sono ritenuti meno ingrassanti.

In realtà, il pane è la base dell’alimentazione quotidiana da quando l’uomo, da cacciatore, è diventato coltivatore e allevatore. I suoi ingredienti sono semplicissimi: farina, lievito, sale e acqua (quest’ultima nella misura di circa il 50 per cento). La farina più usata è quella di grano tenero, ma in alcune regioni italiane (soprattutto la Puglia) viene usata anche quella di grano duro (la stessa impiegata per fare la pasta), più ricca di proteine, di vitamina A e B e in grado di conferire al pane una conservabilità maggiore. In altro regioni, specie quelle dell’Italia centrale, è diffuso invece il pane senza sale, particolarmente indicato per quanti soffrono di problemi cardiocircolatori o renali. Anch’esso ha inoltre una durata media superiore a quella del pane tradizionale. Infine, esiste il cosiddetto “pane condito”, cioè con latte, olio, burro aggiunti all’impasto, che dal punto di vista calorico apporta solo grassi aggiuntivi di cui si può tranquillamente fare a meno.

Da queste premesse deriva che il pane ideale da mettere in tavola è quello “comune”, con un’aggiunta di pane integrale. Quest’ultimo, infatti, dovrebbe essere consumato in una quantità variabile dai 15 ai 35 grammi al giorno (circa una fetta o mezzo panino). Una quantità maggiore, cioè una dieta con solo pane integrale, è in genere sconsigliabile, poiché questo tipo di pane, pur contenendo molta fibra che accelera la motilità intestinale e fornendo meno calorie, risulta un po’ meno digeribile.

A proposito di digestione. Cento grammi di pane comune sono digeriti in circa due ore e mezzo. La digestione, in questo caso, comincia fin dalla bocca, per effetto della saliva che agisce sull’amido cotto. È bene perciò che il pane sia sempre ben cotto, per favorire questa prima fase di digestione. Per questo stesso motivo bisognerebbe mangiare solo la crosta lasciando stare la mollica, o scegliere tipi di pane fatti quasi esclusivamente di crosta, come la “baguette” francese o la “ciabatta” romana. Allo stesso modo, se si mangia al bar, è opportuno scegliere toast o panini evitando i tramezzini, fatti di sola mollica, o le pizzette, ricche di grassi.

Anche i cracker o i grissini, da questo punto di vista, risultano più digeribili del pane. Tuttavia sono anche più ricchi di grassi e apportano di conseguenza più calorie. Cento grammi di pane forniscono 270 calorie, cento di grissini 380, e cento di cracker salati 440. Non sono quindi consigliabili nelle diete dimagranti, ma piuttosto per le persone che soffrono di problemi di digestione, di intestino, per i convalescenti e gli inappetenti.